mercoledì 21 novembre 2012

come si fa ad insegnare la fisica

la preparazione di un corso di fisica basato sulla sperimentazione - una premessa:
 "come si fa ad insegnare la fisica"

Esiste un problema nell'insegnamento della fisica a livello liceale: i risultati, levate le solite eccezioni, sono disastrosi: gli studenti, se raggiungono in qualche modo la sufficienza, a distanza di un anno non ricordano praticamente niente, non sono in grado di affrontare un qualunque problema, non riescono a studiare autonomamente un nuovo argomento di fisica.
Si sono già scritti fiumi di inchiostro su una presunta degenerazione psicofisica delle nuove generazioni della razza umana e sulla impossibilità di un insegnamento serio alla gioventù perduta nel mare di internet, dei tablet, delle troppe distrazioni. Una gioventù incapace di concentrarsi su qualunque cosa per più di dieci minuti, incapace di faticare per lo studio, incapace di apprezzare la bellezza formale della teoria e di sbavare felici davanti alla stupenda eleganza delle equazioni di Maxwell in forma integrale o differenziale.
Noi non crediamo molto in questo, la nostra esperienza didattica, ancora frammentata, ancora poco organica e coerente ci dice il contrario.
La società è cambiata assai velocemente, dirlo è oggi una ovvietà. La velocità di comunicazione, nelle nuove forme di questo inizio secolo, è spaventosamente accelerata. Oggi appaiono nuove forme di crescita della conoscenza che assumono una apparenza collettiva. La rete sta permeando la società a molti livelli.
Mettiamo le mani avanti, non siamo dei fanatici della rete, non pensiamo che la rete risolva tutto, non pensiamo che parlare insieme con molti e in tutte le parti del mondo porti di per sé ad un approfondimento, che cortocircuiti la necessita dello studio individuale e della ricerca. La rete, e la velocità di comunicazione da' solo possibilità.
Associato a questo è cresciuto un problema che riguarda l'autorità o la autorevolezza o il riconoscimento del valore.
Una volta le cose erano chiare: c'era il professore e c'era lo studente. Il professore era una autorità per il fatto semplice di essere messo nel posto di professore, e lo studente doveva studiare perché era studente, magari senza motivazione, magari senza reale apprendimento, ma non c'erano altre possibilità.
Appare chiaro, pensiamo che debba apparire chiaro nella esperienza attuale di tutti noi, che il professore oggi è una autorità solo se sa fare il professore, solo se sa motivare la crescita della conoscenza, solo se lui stesso ha passione per la conoscenza nel suo campo.
Insieme a questo, immerso in questo mare fluido e un po' nuovo, emerge con forza il problema del metodo, di come si fa ad insegnare la fisica (stiamo parlando della fisica e non osiamo, anche se ne siamo tentati, di fare ulteriori generalizzazioni).
Se la fisica è un insieme di formule scritte alla lavagna da uno che dice che così si capiscono le leggi della fisica e che bisogna studiarle per avere dei buoni voti forse siamo nel caso – dal punto di vista degli studenti – di una ricerca di psicologia di molti anni fa. A un campione abbastanza numerose veniva dato da studiare a memoria un certo elenco di parole formate con sillabe senza senso. Quando il gruppo era capace di ripetere a memoria le parole senza senso si faceva passare del tempo. Dopo quattordici giorni (quattordici giorni!) statisticamente veniva ricordata solo la metà delle parole, dopo un mese si era arrivati quasi zero. Certo, è una estremizzazione. Le formule della fisica sono collegate tra di loro, formalmente, quindi c'è la speranza che la memoria sia più efficace. Ma perché insegnare così? Soprattutto oggi?
In realtà la fisica del gessetto (così alcuni l'hanno da sempre chiamata) non ha mai funzionato molto, non è un fenomeno solo contemporaneo. Ma in altri tempi l'inefficienza veniva mascherata e coperta dal dovere e dall'acquiescenza all'idea diffusa più allora che oggi, che la teoria è bella in sé, che la fisica è una scienza senza discussione o dibattito.
Gli studenti fatti dieci esercizi simili non riconoscono che l'undicesimo è simile. Se si chiede di risolvere una equazione del tipo ax+b=c dove al posto di a, b e c si mettono delle espressioni numeriche complesse, sbiancano in viso e dicono che non lo sanno assolutamente fare. Perché?
Quando uno si chiede perché deve darsi una risposta seria, cercare di capire veramente il problema, scartando magari le risposte facili del tipo “degenerazione neuronale” oppure “maledetta società d'oggi”. Oppure pensare che tutto ciò avvenga per mancanza di tempo. E' divertente (in senso amaro) vedere moltiplicare le ore di matematica e di fisica, proliferare corsi di recupero di ore e ore ottenendo sempre lo stesso risultato, ovvero il disastro. Se la pratica ci dice che non è un problema di degenerazione neuronale (accertabile con esami psicofisici) e non è un problema di ore (perché il numero di ore non risolve) allora ci deve essere una qualche altra risposta, magari di più faticosa realizzazione, che richiede assai più lavoro, ricerca, esperimenti.
Se insegnare fosse un lavoro come un altro sarebbe semplice. Io so le cose (almeno, si spera), vado in classe dico le cose che so e se tu capisci bene se no sei deficiente o svogliato.
Il metodo che proponiamo non è una invenzione nuova. Frammenti si trovano sparpagliati in tutti i tempi, con diversi “sapori”, tentativi vengono fatti dappertutto e piccoli successi didattici, con questo metodo, sono avvenuti, anche in passato. Ma erano cose che avvenivano all'interno di un'aula, tentativi isolati, che proprio perché fruttuosi, non potevano venire generalizzati senza mettere in dubbio un sistema, una rigidità, una negazione di vera conoscenza.
Abbiamo scelto di mostrare il metodo non con un lungo discorso (non se ne può più) ma facendo vedere la lunga preparazione degli esperimenti, con la previsione delle possibili varianti e diramazioni, per quanto sia possibile farlo senza la classe reale davanti, perché già nella preparazione del corso viene usato, a diverso livello, lo stesso metodo che si porterà poi in classe. Poi avverrà il tentativo di realizzare nella classe reale quello che è stato programmato e di questo pure daremo reports per quanto possibile fedeli – nel bene e nel male – e infine daremo i dati statistici dei risultati che speriamo siano positivi come in altre occasioni (ma che in questa saranno esplicitamente monitorati). Siamo certi che il corso prenderà pieghe diverse a seconda della classe, si svilupperanno di più certi punti, altri esperimenti nasceranno. Alcuni esperimenti verranno affidati agli studenti (con la guida, ovviamente) e probabilmente verranno fuori cose impreviste, che richiederanno da parte nostra una certa quantità di studio e di approfondimento.
Ma nell'ambito di questa premessa alcune cose le possiamo dire. Partendo come qualche volta si fa, o si faceva, dalla critica dell'esistente.
Quando si parlo di insegnare la fisica insieme al laboratorio di fisica ci sono diverse “scuole filosofiche”, esaminiamone alcune per prenderne la distanza.

- Insegnare la fisica senza laboratorio. Assai più comune di quanto non venga dichiarato. Le motivazioni sono molte. La più comune è che il laboratorio è una perdita di tempo, perché le cose non funzionano mai, perché è difficile tenere la disciplina, perché non c'è strumentazione (in realtà presente e ammassata in armadi nascosti ad ammuffire, o per esigenze di spazio messa in … cantina)
E questo, ovviamente, si risolve in una enorme perdita di tempo. Insegno un argomento, faccio il compito o le interrogazioni, scopro che nessuno ha seguito, rispiego, nessuno capisce, faccio corso di recupero, tutti annaspano, il tempo finisce e al terzo anno non si riesce ad arrivare all'energia.

- Insegnare la fisica usando il laboratorio “dimostrativo”. Avviene un capovolgimento di quello che è la ricerca scientifica: faccio una teoria, poi mostro alla classe un esperimento che verifica che quello che ho detto è proprio giusto, Se poi non viene proprio quello che dicevo dovesse venire, be', sapete, ci sono gli errori strumentali, oppure gli strumenti non funzionano bene - però vi giuro che quando ho provato il risultato era quello giusto, credeteci.
L'impressione che si da' della scienza è che sia una cosa definitiva, chiusa, certa. Gli studenti apprendono la paura di dire cose sbagliate. Di fronte alla verità non c'è scampo, non c'è possibilità di fare ipotesi magari fantasiose, immediatamente arriverebbe la scure – non dire stupidaggini.
Anche qui c'è una notevole perdita di tempo. Qualcuno si è mai chiesto perché gli studenti si annoiano mortalmente in un laboratorio del genere? Non stiamo dicendo che bisogna essere divertenti ma che bisogna fare cose interessanti, e che per fare cose interessanti (che catturino l'interesse), bisogna dare la possibilità di intervenire, di poter chiedere “e che succederebbe invece se....” di eliminare la paura di dire cose sbagliate
- insegnare la fisica con il laboratorio a schede. Si fanno le lezioni, poi si va in laboratorio, gli studenti si dividono in gruppi di lavoro (wow!) e si trovano davanti degli strumenti e delle schede prestampate, in cui c'è la descrizione dell'esperimento con la legge da verificare. C'è nei casi peggiori addirittura una tabella con le variabili da misurare, l'operazione da fare con queste variabili, la formula per calcolare l'errore e lo spazio per il risultato finale. A beffa qualche volta viene lasciato uno spazio bianco per eventuali commenti. Se il proprio piano di lavoro prevede tot ore di laboratorio sul totale non c'è che da esserne soddisfatti. Sia detto per inciso, in molti programmi internazionali dell'insegnamento della fisica, a livello europeo, è esplicitamente vietato di procedere con un laboratorio così fatto
- insegnare la fisica con lo spettacolo. E' già molto meglio. Si fanno vedere effetti strani, curiosi, clamorosi, divertenti, che in realtà hanno un bel po' di fisica dietro. Poi si spiega il fenomeno in base alla teoria fisica, o si spiega la teoria che permette di capire il fenomeno. Manca ancora, secondo noi, un pezzo e lo faremo vedere (speriamo), ma certamente qui l'interesse è catturato, non ci sono problemi di disciplina e le cose si ricorderanno almeno un poco. Forse è più adatto a un seminario piuttosto che alla quotidianità di un corso, ma se ne può discutere.

E se invece...
E se invece si mostrasse un fenomeno e si chiedesse agli studenti di dare delle ipotesi sul perché avviene in quella maniera? Ipotesi, non risposte. Le ipotesi non sono né giuste né sbagliate, sono ipotesi. E le ipotesi vanno verificate. Se uno studente fa una ipotesi strana (ne vederete di molto “belle” nei reports che pubblicheremo in queste pagine) non lo si deve tacitare, dicendo “no, non è così, acqua, acqua” oppure “non ci siamo ancora, fuochino, fuochino”. Bisogna fare una cosa assai più difficile: bisogna dimostragli con un esperimento o qualche cosa del genere che l'ipotesi non corrisponde alla realtà. Nel far questo si riesce a dare un legame effettivo tra teoria e realtà e pratica sperimentale. Come pensate che si faccia effettivamente ricerca? Questo può provocarci a volte un notevole imbarazzo: noi sappiamo che non è così ma non riusciamo ad immaginare un esperimento un motivo per cui quella ipotesi non è corretta. In genere quello che succede dopo un imbarazzo iniziale degli studenti (ma che razza di domande fa il prof? Perché non ci da' lui la spiegazione, se la sa? )- le abitudini ben inculcate sono difficili a morire – incomincia una ridda di ipotesi, di curiosità, l'interesse è catturato, le spiegazioni teoriche necessarie (a un certo punto sono generalmente necessarie) sono seguite e soprattutto ricordate.
Il livello formale può anche essere elevato e magari si riesce anche a far vedere una cosa molto bistrattata nella concezione comune, e cioè che una maggiore astrazione permette di capire molto meglio le cose, di essere veramente concreti. Diciamola questa eresia rispetto al senso comune: per essere veramente concreti bisogna essere astratti. Questo metodo non è fatto per praticoni, che pensano che tutto possa essere risolto con la pratica, ma è fatto per teorici che amano comprendere – e fare comprendere – da dove nasce e come si sviluppa la loro teoria.
Speriamo di mostrarvi con i reports successivi, scritti “in tempo reale” cosa intendiamo con le parole scritte qui sopra.
Credits
Come è noto tutti hanno dei Maestri, Noi ne abbiamo alcuni che ci hanno dato molto, con la loro passione e il loro sapere critico. Li citiamo in ordine sparso per non fare un impossibile ordine di importanza: Mario De Paz e Miranda Pilo del dipartimento di Fisica di Genova, Elio Fabri del dipartimento di Fisica di Pisa, Guido Pegna e il suo incredibile laboratorio del dipartimento di Fisica di Cagliari.
Chiediamo loro scusa se magari non si riconosceranno affatto nelle cose che diciamo o che facciamo. Uno dice che ha tratto ispirazione dal Maestro e poi fa una cosa irriconoscibile. Abbiate pazienza, ma fa parte del metodo...

Progetto per la scuola digitale, da fare con urgenza.

Le condizioni per l'Agenda Digitale (e per il futuro dell'Italia) si costruiscono a scuola - mondopen:


Nelle ultime settimane si succedono le dichiarazioni politiche sull'importanza e la centralità della scuola, nel momento stesso in cui il governo presenta provvedimenti e iniziative sulla “scuola del futuro”, ma anche si riduce il sostegno agli alunni con difficoltà, i confronti internazionali sulla qualità degli studi ci penalizzano, l'edilizia scolastica rimane sostanzialmente fuori norma, manca un progetto organico di cambiamento. Eppure è principalmente investendo sul sistema educativo che si costruiscono le condizioni per lo sviluppo futuro dell'Italia. Perché la crisi economica non è una malattia passeggera

La scuola al centro. Tutti (a parole) concordi
Ci avviciniamo alle elezioni e diventano sempre più numerose le affermazioni politiche secondo cui la scuola, il sistema educativo, il sistema formativo devono essere al centro delle politiche di sviluppo. Nei discorsi, appare sempre più presente l'affermazione per cui investire in formazione è fondamentale per l'uscita dalla crisi. Questo è indubbio: il dinamismo sociale ed economico obbliga i cittadini a possedere competenze ed attitudini che consentano di porsi nella condizione di poter governare il cambiamento. Possedere capacità di lettura critica dei fenomeni e di determinarli. Capacità di relazionarsi e di arricchirsi nella relazione, ponendosi sempre nella posizione duplice di chi ascolta e narra, di chi utilizza ma anche riutilizza e produce. Utilizzando appieno le tecnologie disponibili. In modo creativo. Queste competenze e queste attitudini non sono innate. Devono essere costruite, pazientemente, alle diverse età, ma l'efficacia maggiore si ottiene nel momento scolastico, che è allo stesso tempo di formazione iniziale delle persone e opportunità di disseminazione nelle famiglie. Ma come tutto questo è al momento interpretato a livello governativo e parlamentare?

Le innovazioni scomposte
Queste ultime settimane sono state segnate da avvenimenti ed eventi relativi ad alcune delle iniziative governative sul futuro della scuola: il capitolo sull'istruzione all'interno del decreto Crescita 2.0 (ex Digitalia) e alcuni progetti di innovazione lanciati dal MIUR presentati alla recente manifestazione ABCD. Il capitolo sull'istruzione nel decreto Crescita 2.0 è principalmente centrato sull'utilizzo deicontenuti didattici digitali, ponendo a carico della scuola quanto necessario perché gli studenti siano in grado di utilizzarli (e quindi favorendo la diffusione di dispositivi di vario genere da computer a tablet). Buona parte degli emendamenti parlamentari presentati al Senato si preoccupano “dell'impreparazione” degli editoridegli insegnanti e dei genitori al passaggio al digitale. Mostrando ancor di più come questo passaggio faccia parte di uno scadenzario (dove non si evidenzia come rendere possibile il rispetto delle scadenze) e non di un piano di cambiamento. E come l'impreparazione possa essere un aspetto permanente e il cambiamento un perpetuo “vorrei ma non posso. Non adesso.”
Si ha l'impressione che il focus principale per la costruzione della “scuola del futuro” sia ancora puntato soprattutto sulla tecnologia e sulle nuove strutture fisiche, con un approccio meccanicistico che rischia di far diventare inefficaci gli interventi posti in essere. Come se introdurre tecnologia e ridisegnare gli spazi possa essere sufficiente per il cambiamento. Tutto questo invece convive e stride con evidenza rispetto ad una situazione edilizia scolastica a dir poco disastrosa e in gran parte irregolare (per i noti problemi sulle norme della sicurezza, ancor più gravi in un territorio ad alto rischio sismico – vedi la recente indagine di Wired), ma soprattutto rispetto ad un insieme di interventi governativi che negli ultimi anni hanno ridotto le possibilità di sperimentazione e innovazione, oltre che reso difficile anche l'insegnamento quotidiano (pensiamo ad esempio al problema enorme del sostegno ridotto agli alunni con difficoltà). Non solo. La realtà è quella di una scuola per cui la spesa scolastica (4,7% del PIL contro una media Europea del 5,4%) e la retribuzione media degli insegnanti sono tra le più basse d'Europa. Tasselli di una situazione da cambiare radicalmente. Il risultato, inequivocabile, è la posizione sempre peggiore che occupano i nostri studenti nei diversi rilevamenti e benchmark internazionali, oltre che la difficoltà enorme dell'Italia di conquistare una posizione di preminenza nei settori più innovativi e che, per tipologia di industria, dovrebbero vederci protagonisti.

Un modello di riferimento?
Dopo la stagione che ha visto nascere il modello della scuola dell'autonomia, in Italia non abbiamo avuto iniziative di progettazione strategica dell'evoluzione del modello educativo e scolastico. A fronte di risorse sempre più ridotte e utilizzate in modo sempre meno efficace, abbiamo assistito ad una progressione sempre più spinta verso un approccio educativo via via più deresponsabilizzante e protettivo nei confronti degli studenti, programmi e testi didattici sempre più semplici e sempre meno approfonditi, insegnanti sempre meno incentivati alla professionalizzazione d'eccellenza. In più, a tutti i livelli siamo invasi da test, questionari a risposta multipla, anche in sostituzione dei colloqui orali, promuovendo la semplificazione degli slogan o della prontezza di risposta, dell'intuito, alla capacità di ragionamento critico e di approfondimento. Estremizzando, stiamo costruendo ottimi esecutori, pessimi imprenditori, ottimi soggetti televisivi, pessimi attori della società del XXI secolo. Se non intervengono cambiamenti radicali nella scuola e nell'università, questa pratica ci condannerà ad un futuro di povertà e di retroguardia. Non basta, per questo, incentivare le start-up, bisogna agire prima. E allora, a quale modello educativo guardare?

Anche negli USA si è discusso negli ultimi mesi del modello finlandese, come modello di successo alternativo a quello anglosassone basato sulla competitività e la valutazione estrema (degli studenti, dei docenti, delle scuole). Come scrivono diversi osservatori la forza del modello finlandese sta in alcune caratteristiche che sono identitarie di un approccio culturale:
spinta all'autonomia e alla responsabilizzazione degli studenti;
sviluppo delle competenze e della professionalizzazione dell'insegnante;
- integrazione delle abilità manuali, tecnologiche e teoriche;
- enfasi sulla costruzione delle competenze e non sulla competizione;
preferenza per le piccole strutture scolastiche, agili, efficienti, più capaci di rispondere alle esigenze di studenti e docenti.
Non solo, l'attuale situazione finlandese è anche il frutto di un piano strategico graduale ma dalle tappe determinate che hanno permesso di rivoluzionare l'assetto preesistente. Non il risultato di interventi episodici e isolati.

Superare le resistenze
Torniamo alla riflessione iniziale, sulla necessità che il cambiamento parta dalla scuola e trovi lì il luogo di maggiore espressione della rivoluzione culturale di cui abbiamo bisogno. Una scuola vista come area di investimento per lo sviluppo del Paese, e quindi non solo in una prospettiva futura di costruzione della società del XXI secolo, ma, anche, in stretta connessione con quanto si vuole realizzare in ambito di sviluppo economico, di governo e partecipazione, di nuova socialità, di nuovo ambiente urbano e territoriale. Ben vengano i progetti sperimentali, le innovazioni basate sulla tecnologia, ma ancor di più abbiamo bisogno di un progetto di riforma che sia organico alle culture dell'innovazione e della partecipazione che vogliamo sviluppare. Un progetto che valorizzi le esperienze e le idee che fervono nei territori, che applichi un approccio connettivo sulle buone pratiche di didattica innovativa e utilizzo delle nuove tecnologie, di ridisegno degli spazi e di valorizzazione dell'interdisciplinarietà, ma allo stesso tempo in grado di ridare respiro alla scuola dell'autonomia invertendo la tendenza ad un falso efficientismo che aggrega strutture e ricostruisce la dittature delle burocrazie. Certo, bisogna superare le resistenze dei diversi interessi (economici, di potere) in gioco e anche all'interno degli attori coinvolti (insegnanti, genitori, amministrazione, …). Ma credo che sia questo il vero centro del cambiamento necessario. Forse sono maturi i tempi di un ripensamento profondo del sistema educativo. Supportato e favorito dalle nuove tecnologie digitali, ma non digitale.

Nello Iacono

mappe-mentali-concettuali

mappe-mentali-concettuali:

per approfondire l'argomento http://share.dschola.it/tantinsegnanti/Lists/MAPPE%20CONCETTUALI/AllItems.aspx

sabato 17 novembre 2012

Samsung Smart School


SAMSUNG | Mobile in Business:


Samsung Smart School

Overview

The Samsung Smart School is a total digital education package consisting of Samsung tablet and software to provide better teacher to student interaction, more efficient communication and improved classroom management. This serves as an inclusive digital learning system that features targeted services, devices and software to create a managed digital learning setting. This can contribute to increases in student grades and classroom efficiency.

venerdì 9 novembre 2012

Reform for the Future | The White House

Reform for the Future | The White House:


Reform for the Future

The strength of the American economy is inextricably linked to the strength of America’s education system. Now more than ever, the American economy needs a workforce that is skilled, adaptable, creative, and equipped for success in the global marketplace.
America’s ability to compete begins each day, in classrooms across the nation—and President Obama knows we must comprehensively strengthen and reform our education system in order to be successful in a 21st century economy. The case for the link between the strength of American education and the strength of our economy is a simple one—and it is one that all Americans can agree on. Ensuring that every student in our country graduates from high school prepared for college and a successful career is central to rebuilding our economy and securing a brighter economic future for all Americans.

http://www.whitehouse.gov/issues/education/reform

giovedì 1 novembre 2012

DOCUMENTO-SCUOLA-2-0

http://www.orienta-giovani.com/wp-content/uploads/2012/10/DOCUMENTO-SCUOLA-2-0.pdf

Vittorio Bertini - Vittoria Calfurni - Dale Caringal - Marta Del Gigia
Margherita Falcini - Benedetta Mariani - Eleonora Iurlaro
Il presente documento è stato prodotto, tramite lavoro di gruppo, da sette giovani studentifiorentini, e contiene alcune proposte per il Ministro dell’Istruzione della Repubblica Italiana.
Le nostre proposte hanno il fine di aiutare le istituzioni a proporre una riforma della scuola
che parta dalle reali esigenze di noi studenti, e che non sia indirizzata da interessi particolari
che poco hanno a che vedere con le esigenze di apprendimento e di crescita dei giovani.

Settembre 2012